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GHTRLANDA
Divarii foretti & proverbi Italiani.
Gentilifima Madonna.
Or ch io fono al ficuro, mi voglio par s4°
Vh
var quefia mafchera; > non intendo fi
D far lo fciocco. Sorelins mia, voivi fete int
7, gannata à credereche quello Arficcio, ht
facevail balordo, foffe buono: egli era pi
fall, pincattivo, èpix malitiofo che’l diavolo del Lun
no. E fé ben faceva la gatta di Mafino , IS PATIER
gave in mano el rafoio alla cintola : ecome coli Cha fat
d'ogrilana un pelo, accennava à toppe c dava à demie
vis cercando s'havelfe potuto pigliar due colombi à #1
fava. Mè la forte wolf, che aliri f£ leud prima di lui
perche come dice il proverbio, Phuomopropone e Dio dif
pone. Egli fi pensd d'andare à pacere, € andd ad aratt}
Et perd diffe ben colui, à fogni non [en veri; di difigt
mon riefcono tutti: cr chi mal penfa, mal difpenfa. Éh
alridiffé, mul habbia; ediffe bene: perche > giufio, ch
chicercabriga, latrovià [ua pofta. Echi potendo ffar chi
deirè via, s'eirompe ilcollo, [no danno. M3 il male nb
féà fempre dove ff pone: che il mondo à tondo ; edoppo W
motte viene il giorno. Et come ff dice, ognitempo vien À
chi lo pud afpettare : € à chi rincrefce flare , pongafi à fe
dere. Cofi fard io: ‘nè mi fpaventa quel chefidice, che chi
vive à fperanza, muorecacando. Ch' io hd pifeiato [opt
laneve, dy sù hoggimaiquanti pani fanno una coppia ; #
quante paia fanno trè buoi: e conofco benifimo an 1
fra centoperfone: à per dir meglio, conofco i miei buois M
snicredo ingannare. Che come fapete, più sà il matto in
cafa fus cheil favio in quella d'altri; e bafta. Mate
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GHIRLANDA DI PROVERBT. 247
Pfe dire, sardi corn Orlando. lo vi rifpondo, che il
non fe mai tardi. E perd ancor che la pietra fia cadu-
Tan pero, 8 ch io vegga ch egli è un xappare in acqua s
© Come dicono , gittar le fave almuro, e non fi pud sfor-
Xare il popone. Ci bifigna poi, c'habbiamoocchio alculos
Aa Gicala ch'ella canti: @ fe beneglièun fluzzicareil
icaio, à un attizzare il fuoco, e’ nonimporta: quel
che ba da effèr convien che Jia; &» chi nafce matto, non
Starifce mai. Jo fon occa, conviench' io muois. Et fe ben
© ilcane del! ortolano » Patienza. Voi fapere, che chi fs
ontenta, gode: éxrio gode, poiche la cafa brufiia, e ch'io
Mi fcalderd pur le mani. E S'io dard nelle [cartate, mio
Anno, Euvipeggiochemorire? Cofforo dicono, cheilmu-
tar coffume, e'Lfopportar le corna per forza, à al pari del
2norire. “E perd ni delibero di sborrare un tratto » edire
come il corfo; fe coglie, coglie, fe non mi gabbo. Et à chi
toccæ, tocchi. A 1ne bafla mofirare, che non fon io quel
chehà dato al cane. E poiche hù cattivi vicini, bifogns
ch’ io mi lodi da me fleffo ; fe ben dicono, che chi fi loda,
s'imbroda, Baffa ch' io poffa dire, Per voimorimmi; evi-
dichi mi pianfe : e weggioperprova , chel'allegrezza di
queffo monde dura poco: e chetutto quellocheriluce, non
2 or. Egliè mala cofa l'effér cattiuo
l'eféèr conofciuto. Lo confeffo ch io prefi un granchio; e fe
#08 fà con due bocch
e, dicalo chi lo sà. Ma che profittæ
FatUederf doppo il fatto, drardare à pentirff al capezza-
le? Chi hà tempo, non afbetti tempo, e pigli ilben quan-
doviene : che ;] mondoè fatto à fcale, chile fcende, echi
ie lle. Le hore non tornano addietro. Che fe la cofa sha-
SE ne due volre ; l'afino farebbenoftro. Mà voi fapete
Se _. S meglio è ranveder[ ana volts é che NE
dunque sPeBgior ditutti ä peccati à A une Ven, ”
FRS " come colui, che perduti à buoi ferra ce
purb fè gli è un gittare il manico dietro alla pale:
ne vada ? Accioche non crediate ch' io dora alfuoco, à me
ref alle grida. lo non fonc oggimai sl fe
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, MA à anco peggiore
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